Le parole che non ti ho detto …
… potrebbe essere il sottotitolo del nuovo libro scritto da don Claudio Burgio “In viaggio verso Allah”, una lettera scritta col cuore dettata da un evento che potremmo definire un lutto, una sconfitta per un uomo di chiesa ma soprattutto persona con sentimenti profondi; don Claudio che ha scelto di dedicare la sua vita a quei “ragazzi cattivi” che molti rifiutano e che ad ognuno di loro si lega con una profondità tale che solo chi è genitore può capire.
Ed proprio questo il sentimento che lo ha legato a Monsef e Tarik, due ragazzi che hanno passato un lungo periodo della loro vita in associazione e che improvvisamente come un fulmine a ciel sereno hanno scelto di partire per la Siria per unirsi al califfato, i più giovani combattenti partiti dall’Italia per il fronte islamico.
Cosi diversi tra loro Monsef “agitato”, scosso nel suo intimo da una realtà scomoda dove la famiglia era inesistente, lui sempre alla ricerca del suo posto nel mondo e Tarik cosi lineare nel suo percorso, così tranquillo e silenzioso ma sempre presente per il gruppo.
Forte il legame tra don Claudio e Monsef, quel ragazzo così irrequieto ma allo stesso tempo profondo, entrato in Kayrós a soli 15 anni, poco più di un bambino ma con un dolore dentro che nemmeno un adulto potrebbe sopportare.
Un percorso lungo 5 anni, tra alti e bassi, tra cadute e risalite; Monsef non ha certo avuto una vita semplice, questo don Claudio lo aveva capito bene, la principale mancanza per lui era la famiglia che non ha mai avuto, si perché come si può leggere nel libro lui stesso ha più volte ripetuto: “Sai don, io ho avuto due genitori ma non ho mai avuto un padre ed una madre”; “Lei non è mia madre, è solo colei che mi ha partorito”.
Frasi forti che denotano il dolore di un ragazzo lasciato solo sin dall’infanzia e si sa “senza la trasmissione e la mediazione di un padre ed una madre, tutto è nulla; nessuno al mondo si fa da sé”.
Durante la presentazione del libro alla Casa della Cultura a Milano si è parlato molto del califfato e della radicalizzazione, come avviene, quali sono i segnali; ma credo che questo libro vada oltre, il discorso più importante che ne emerge dalla lettura è proprio il rapporto unico che si era instaurato tra Monsef e don Claudio.
Nel libro si ripercorrono i momenti più importanti della vita vissuta insieme: “Mi chiamarono alcuni tuoi amici, eri stravolto non in grado di reggerti in piedi, gridavi frasi sconnesse. Più cercavi di rialzarti più cadevi a terra rischiando di farti male. Alla fine cedesti al sonno. Ti guardavo in quel silenzio irreale e scorgevo nel tuo volto sofferente tutto il dramma della tua vicenda umana. Avevi toccato il fondo. La fragilità del tuo corpo era davanti a me, ma sentivo più forte la fragilità della tua anima. Ero preoccupato, non riuscivo più a stabilire un contatto con te, avevo già allora paura di perderti”.
Ed ancora: “Ottenesti il diploma di terza media, avevi il famoso pezzo di carta ma nessuno ti ha insegnato a guardare la realtà con distanza critica, con discernimento, con giudizio e libertà. Anch’io non ho compreso che la passione per il nulla avanzava inesorabilmente dentro di te e spianava la strada alla tua scelta terroristica”.
L’ultimo sms arrivato al cellulare di don Claudio il 17 gennaio 2015 dice: “Ciao Burgio, stammi bene e prega Allah che ti dia la sua retta via e ci guida verso sé nella sua luce inshallah il paradiso …”; in queste ultime parole si legge tutto l’affetto che Monsef sentiva e sente per don Claudio, forse l’unica persona ad aver tentato di capire ed aiutare questo ragazzo in estrema difficoltà con la vita.
Ed è per questo che don Claudio sente forte il peso del non aver capito !
Tanto da scrivere: “Sento di doverti chiedere scusa, Monsef, anche a nome di quanti ti hanno escluso e non sono stati disposti ad accogliere la tua invocazione d’aiuto. La tua partenza per una strada senza ritorno è anche frutto delle nostre rinunce. Sei vittima del nostro ritiro e delle nostre assenze. Ti abbiamo abbandonato tutti da quando i tuoi comportamenti cominciavano a diventare sempre più trasgressivi. Dopo i tuoi genitori, ti hanno abbandonato la scuola e le tante comunità in cui hai abitato prima di venire da noi. Faccio davvero fatica a pensarti come un terrorista. Non riesco a mettere insieme la violenza che ispira ora i tuoi giorni con l’affetto che mi hai dimostrato in molte occasioni”.
Da questa lettera emerge forte l’importanza dell’ascolto e del dialogo; capire che diverse culture che si avvicinano possono convivere e che la reale integrazione, il reale scambio, il reale dialogo è fatto tra due diversi che si mantengono tali e che approfondiscono la propria identità.
Una lettura importante, un piccolo contributo prezioso per tutti noi e soprattutto per chi deve affrontare il tema dell’ accoglienza; ogni ragazzo che viene accolto è un inedito, una persona che devi conoscere, uno diverso da te e quindi come tale può fare anche paura, perché la diversità va al di là della propria concezione di vita.