COMUNITA’. La voce degli educatori: Varooj Karapedian.

Varooj Karapedian

Varooj da quanto lavori in Kayrós e come hai conosciuto l’associazione?

Inizio come educatore nel 1984, negli anni ‘90 sono diventato direttore della Fondazione Girola e nel 2007 ho fondato un’Associazione per minori Kion Onlus utilizzando il cane come strumento educativo (pet therapy).

In Kayrós ho iniziato come supervisore pedagogico circa 16 anni fa, ma sono ufficialmente dipendente da 7 anni. Ho conosciuto Don Claudio tramite un educatore che lavorava qui quando faceva il formatore in Bicocca. All’interno di Kayrós ho avuto diversi ruoli: formatore, amministratore, direttore e ora coordinatore della Comunità Casa Gialla.

Cosa significa secondo te essere responsabile sia dei ragazzi che degli educatori?

E’ un’esperienza stimolante, sviluppata durante tutta la mia carriera lavorativa. Sono responsabile sia dell’area logistica che di un’équipe educativa e questi ruoli mi aiutano anche a rivedere quotidianamente la relazione con i ragazzi.

Collaborando con Don Claudio ho scoperto che posso far comprendere sia ai ragazzi che agli educatori anche il valore delle cose materiali (mi occupo anche della manutenzione). Tutto diventa occasione di dialogo e di formazione.

Nel tuo vissuto quotidiano cosa significa essere responsabile degli educatori?

Sono un operatore di aiuto, la responsabilità per me è prendersi cura. Oltre che programmare e organizzare il “lavoro” per gli educatori, arrivo a lavorare molto su di me; curarmi per poter curare gli altri.

Chi è responsabile deve saper dare dei contenuti all’interno di confini.

Si inizia il percorso conoscendo il più possibile se stessi; l’educatore deve interrogarsi quotidianamente sul senso del suo essere. “Il mio essere diventa testimonianza”. Ma i rischi ci sono: non bisogna usare la Comunità per curarsi. La ricerca del senso all’interno di ogni azione umana è la ricerca del senso della mia esistenza, della mia persona. Se non mi curo come faccio a curare gli altri? Per questo bisogna sempre avere una persona con cui confrontarsi, non basta essere interlocutore di se stessi.

Secondo te i ragazzi di oggi come possono essere responsabili? E si può insegnare a loro la responsabilità?

Assolutamente sì, perché sono in una fase evolutiva della loro vita. Oggi ci sono le stesse problematiche di vent’anni fa, ma molto più amplificate per via delle “distrazioni” come social network, musica, accesso rapido a qualsiasi tipo di informazione, ecc.

E’ un problema che riguarda la risposta ai propri bisogni. Oggi, i ragazzi non sono abituati più ad aspettare, il tempo di riflessione è diminuito. Per vivere l’attesa, bisogna valorizzare la fatica ed in questo la Comunità diventa un “luogo di nuove attese”, poiché può essere quel contenitore nel quale i ragazzi possono trovare risposte alternative ai loro bisogni immediati.

L’attesa non va intesa come negazione dei propri desideri. I nostri adolescenti devono avere degli adulti che gli permettano di fermarsi. La scommessa del lavoro educativo oggi è darsi un tempo di ascolto che favorisce l’esperienza dell’attesa, la quale consente di rielaborare il senso della propria vita

A cura di Daniel Zaccaro

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