ESPERIENZA. Don Dario Acquaroli: tre proposte per l’emergenza educativa.
Don Dario Acquaroli, classe 1998, da pochi mesi è il direttore della Casa del Patronato a Sorisole (Bergamo), una realtà molto attiva nel mondo giovanile e dell’emarginazione. Succede a don Fausto Resmini, stroncato dal Covid il 23 marzo, figura carismatica e amata dai giovani. Le aree di intervento della Casa comprendono tre comunità per minorenni (minori stranieri non accompagnati e giovani provenienti dal circuito penale e da quello civile), un’attenzione ai neo-maggiorenni che si incamminano verso l’autonomia, un centro di accoglienza per richiedenti asilo e infine un’area che si occupa dei senzatetto presenti alla stazione ferroviaria e di progetti alternativi alla detenzione per gli ospiti del carcere di Bergamo.

Quali sono oggi, anche alla luce dell’esperienza fatta con il lockdown, i tratti salienti dell’emergenza educativa?
Si sono accentuate alcune dinamiche già presenti. E’ sempre più evidente che i giovani hanno a disposizione mezzi sempre più potenti per esplorare la realtà e per entrare in relazione con gli altri, ma proprio per questo spesso scelgono le relazioni più comode, quelle che danno una soddisfazione immediata, che non costano nessuna fatica. E in più c’è una percezione falsata della realtà, non si ha la percezione di quello che si fa. Tipiche alcune frasi pronunciate da giovani autori di gesti di violenza o di bullismo: ‘non è vero… quella cosa non l’ho fatta… per me era un gioco. Ci si muove a partire da una prospettiva egocentrica in cui l’altro diventa un oggetto per conseguire un piacere, e quindi finiscono per prevale il tornaconto personale e l’istintività.
Di fronte a questa realtà come si può realizzare una formazione adeguata degli operatori che lavorano con i giovani?
Servono essenzialmente tre cose: spazi per il racconto e la condivisione delle esperienze, un’attenzione costante a tenere sempre al centro del nostro lavoro il bene del giovane e ovviamente dei momenti “dedicati” nei quali affinare il background professionale.
Qual è l’eredità “viva” lasciata da una figura carismatica come don Fausto Resmini?
In questi mesi stiamo facendo un lavoro di riflessione e condivisone per mettere a fuoco i pilastri portanti di ciò che ha costruito. Uno di questi è che noi “ci siamo”, le nostre porte devono restare sempre aperte a chi viene a bussare, nella consapevolezza che questi ragazzi sono un tesoro che Dio ci mette davanti e che non possiamo permetterci di perderlo.
A soli 33 anni lei è stato chiamato ad assumere una responsabilità importante come quella di dirigere tutta la comunità di Sorisole. Avverte un po’ di vertigine?
Certamente, ma grazie a Dio non pesa tutto sulle mie spalle. Il direttore deve avere ben presente la traiettoria da seguire, ma questo avviene all’interno di una logica di condivisione e di corresponsabilità. E questo mi conforta molto.
A cura di Giorgio Paolucci