L’EDITORIALE di don Claudio Burgio. Per rispondere occorre una chiamata.
“Si educa alla responsabilità dando responsabilità” (Cardinal Carlo Maria Martini)

L’invito alla responsabilità è più che mai vivo in questi nostri giorni.
La paura del contagio, pur con sofferenza, ha costretto anche i nostri ragazzi della Comunità ad assumere comportamenti responsabili, a cominciare dall’uso anche dentro casa della mascherina.
Potrà il contagio della paura avere effetti così durevoli tra i nostri giovani? Non credo.
Non è la paura ad avere impedito a molti ragazzi che conosco di sconfinare nell’illegalità e conoscere l’esperienza dolorosa del carcere minorile.
Non è la paura delle conseguenze, evocata energicamente dai genitori, ad avere dissuaso molti figli dal commettere reati.
Come è, dunque, possibile educare alla responsabilità vera, non solo quella da Covid?
Come aiutare un figlio all’assunzione responsabile di scelte positive e umanizzanti?
Come spesso mi succede, vado all’etimologia delle parole per carpirne i significati originari, la parola “responsabilità” deriva dal latino respòndere, nel senso di rispondere a qualcuno o a se stesso delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano.
Il determinismo esclude la responsabilità personale: tutto dipende dalla collettività sociale e da fattori esterni al soggetto. E’ la tentazione educativa di quei genitori che guardano ai loro figli a partire dalla sindrome del “poverino”: “In fondo, bisogna capirlo; non è tutta colpa sua; se sbaglia è perchè la società impone certi stili di vita …”.
Di diverso parere è Hans Jonas, egli sostiene che ogni uomo è soggettivamente responsabile di ogni gesto che compie anche in considerazione delle conseguenze future dei suoi atti.
Perchè un ragazzo non si lasci corrompere dall’attenuante deterministica e possa comprendere il peso delle proprie scelte per l’oggi e per il domani, occorre che venga introdotto da qualcuno alle domande, solo cosi ogni giovane potrà iniziare a rispondere, se avrà avvertito con serietà la bellezza di una chiamata.
Ho accompagnato ragazzi che solo dopo l’incontro libero con una chiamata esigente hanno progressivamente iniziato a porsi domande di senso e a responsabilizzarsi; questo passaggio non può avvenire se non dentro un cammino di libertà, anche quando il passo iniziale stenta a muoversi.
Se, dunque, un genitore vuole educare un figlio a un agire responsabile, non dovrà insistentemente dare risposte su tutto; occorrerà provocare le domande e avere la pazienza dell’attesa; occorrerà accompagnare attraverso la pedagogia dell’errore e del perdono.
Figli troppo responsabilizzati e poco chiamati a discernere, difficilmente saranno figli realmente responsabili.
Cresce nella responsabilità chi ama la vita, chi si impegna in un progetto pienamente umano, chi trova sul suo cammino adulti non rassegnati ad una cultura neo-nichilista sempre più dilagante.
Penso a Gesù con i suoi discepoli: la sua chiamata ha aperto orizzonti di vita sorprendenti, eppure i discepoli non subito hanno compreso. Solo dopo la sua morte quella chiamata è entrata nel cuore di quegli uomini e li ha sollecitati a una responsabilità più grande.
A cura di don Claudio Burgio