ESPERIENZA. Frà Stefano, il teatro per ricominciare
Ha appena pubblicato un libro dal titolo inquietante, “I cuccioli dell’Isis. L’ultima degenerazione dei bambini-soldato” (edizioni Terra Santa), in cui racconta come sono cresciuti centinaia di bambini educati a seguire l’ideologia jihadista nella sua versione più estrema, quella adottata nel territorio che per anni è stato chiamato “Stato Islamico”.

I cuccioli dell’Isis. L’ultima degenerazione dei bambini-soldato (edizioni Terra Santa)
Hanno avuto una infanzia in cui alla sera, prima di metterli a letto, le mamme raccontavano storie di martiri combattenti per l’islam, hanno frequentato scuole dove musica, disegno e filosofia erano state rimosse e sostituite da materie religiose come la memorizzazione del Corano o la giurisprudenza islamica e dove l’educazione fisica si traduceva in “addestramento al jihad” con lezioni di tiro, nuoto e combattimento corpo a corpo.
Stefano Luca, francescano cappuccino dal 2007, originario di Sondrio, è una vecchia conoscenza di Kayròs: alcuni anni fa aveva coordinato un laboratorio teatrale al quale avevano partecipato molti giovani ospiti della comunità.

Tra di loro c’erano Monsef e Tarik, due marocchini che dopo qualche mese se ne erano andati in Siria, arruolati dall’Isis.
E proprio ai figli di Monsef è dedicato il libro di fra’ Stefano, “con l’auspicio – dice – che abbiano un futuro diverso di quello del loro padre e che possano trovare una nuova rinascita”.
Da tempo lui lavora con i giovani utilizzando il teatro sociale come strumento di riabilitazione: tra le diverse missioni di cui è stato protagonista, particolarmente toccante è stato il suo occuparsi dei bambini-soldato nella Repubblica Democratica del Congo, strappati alle famiglie di origine, sequestrati da bande armate e costretti a combattere una guerra di cui non possono che essere vittime.
Poi la sua passione per il mondo arabo-islamico lo ha portato a studiare e a viaggiare in Medio Oriente, fino alla pubblicazione di questo libro che presenta un percorso di “disintossicazione” dai veleni del jihadismo e di riscoperta della propria umanità.
“Il teatro sociale è una sorte di arte curativa – spiega – un efficace strumento di presa di cura, di riabilitazione umana a partire dal linguaggio del corpo. Fino a far percepire che il cuore di tutto è la relazione, la scoperta che tutti noi possiamo diventare più umani nella misura in cui scopriamo di essere debitori del rapporto con l’altro. Una dinamica, questa, che mi pare essere uno dei fondamenti anche del metodo educativo di don Claudio Burgio e degli amici di Kayròs”.
Giorgio Paolucci