La famiglia deve uscire dall’isolamento

Sempre più genitori si rivolgono alla nostra comunità per ricevere aiuto nella difficile e spesso altamente conflittuale gestione del rapporto con i figli adolescenti.
Ancor più nel tempo della pandemia, si registrano casi di fuga: quella “estroversa” di figli adolescenti che “non ci stanno più dentro” e – insofferenti alle norme – escono di casa ed organizzano feste private; quella “introversa” di chi si rifugia nella propria cameretta davanti al computer e nell’isolamento davanti allo schermo del cellulare.

Fuga estroversa e fuga introversa sono due facce della stessa medaglia: un sistema di rimozione per non doversi misurare con la realtà ed evitare le domande scomode.
Il consumo di sostanze stupefacenti da parte del mondo giovanile si è innalzato esponenzialmente in questo periodo segnato dalla solitudine e dall’emergenza; ci stiamo scoprendo tutti molto più fragili, incapaci di far fronte alle nuove sfide che si pongono sul nostro cammino.

Mai come in questo tempo, stiamo imparando che non siamo fatti per la solitudine e che siamo tutti interconnessi: non possiamo fare a meno dell’altro. Siamo tutti autonomi e dipendenti, che ci piaccia o no. Siamo tutti parte di una communitas.

La famiglia stessa non può più concepirsi come uno spazio privato, impermeabile ed inattaccabile al divenire della contingenza. Una famiglia che cerca di affrontare le turbolenze e le fughe dei propri figli adolescenti da sola è già avviata alla disperazione.
“Resilienza” (dal verbo latino resalio, che indica il movimento della nave quando, dopo essere stata capovolta dalla tempesta, riesce a riprendere il mare), sembra essere la parola d’ordine anche per i genitori; ma il resiliente – come scrivono Chiara Giaccardi e Mauro Magatti – «non è il sopravvissuto. E’ chi ha guardato in faccia la morte, e da questo vis-à-vis ha acquistato consapevolezza nuova sul senso della vita. Non è neppure chi resiste, chi non si spezza: è chi, invece, riesce a cambiare forma».

Una famiglia resiliente è capace di fare i conti con la tempesta dei figli e sa assumersene il rischio, sapendo che nulla sarà come prima, trasformando la fatalità in occasione.
Accompagnare i figli in questa difficile transizione significa non pretendere che tutto torni come prima, nella ripetizione di modelli passati e mai oltrepassati; significa, piuttosto, cercare con loro una nuova narrazione che nasca autenticamente dalla realtà.
Soprattutto, significa cercare “alleanze educative”, come ricorda Papa Francesco nel suo recente “Messaggio per il lancio del patto educativo”.

Ciò che deve cambiare è quella condizione di isolamento a cui la famiglia italiana si è condannata già da tempo; quel non voler fare sapere agli altri le situazioni di conflittualità con i figli interne alla famiglia; quel “cavarsela da soli”, perché tanto nessuno ti dà una mano e affidarsi ai servizi sociali è peggio…

Con la pandemia, forse non è la fine del mondo, ma certamente è la fine di un mondo: abbiamo preteso di “sciacquare i panni in Arno”, di “lavare in casa propria i panni sporchi” e non ci siamo resi conto che non è possibile educare i figli in una condizione di isolamento.
Ebbene, questo modello di famiglia è finito. Occorre dare vita a nuove forme di “villaggio”, intensificando gli incontri e le condivisioni tra famiglie: non più l’immunitas di un sistema familiare chiuso, ma la communitas come sistema aperto, come solidarietà tra famiglie.

Abbiamo affidato le coscienze dei nostri figli all’impero tecnocratico e ci stiamo rendendo conto di quanto la conoscenza scientifica, per quanto avanzata, rimanga imperfetta ed incapace di sostituire la fisicità di un rapporto umano autentico.
Il sistema tecnico-informatico non regge il desiderio di relazione insito nell’uomo e non sostituisce quel corpo a corpo che il rapporto umano richiede. C’è una fisicità dell’incontro che è insostituibile anche tra famiglie. Il confronto e l’aiuto nascono dal guardarsi reciprocamente negli occhi e da un abbraccio che spesso non può limitarsi ad essere soltanto simbolico.

Per questo, da qualche anno, all’interno del nostro cammino associativo, abbiamo avviato un gruppo-famiglie che si ritrova mensilmente e che condivide il racconto delle gioie e delle fatiche nel rapporto con figli adolescenti. E’ un piccolo contributo che Kayròs offre per condividere un’esperienza educativa e per avviare un confronto non giudicante che permetta a chi partecipa di non sentirsi solo nell’avventura educativa.

don Claudio Burgio

About Author: Don Claudio Burgio

Don Claudio Burgio nasce a Milano il 29 Maggio 1969, dopo gli studi classici, a ventuno anni entra nel seminario della Diocesi ambrosiana, dove completa la formazione filosofica e teologica. L’8 Giugno 1996 è ordinato sacerdote, nel Duomo di Milano, dal cardinale Carlo Maria Martini. Fondatore e presidente dell’associazione Kayrós che dal 2000 gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti, don Claudio, dopo dieci anni di parrocchia, coinvolto nella pastorale giovanile degli oratori, diventa collaboratore di don Gino Rigoldi come cappellano dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano. Accanto all’attività pedagogica che lo vede impegnato quotidianamente con i ragazzi delle comunità, numerosi sono i suoi interventi in dibattiti ed incontri pubblici su temi sociali di attualità, su spiritualità, educazione, famiglia, tossicodipendenza, emarginazione giovanile. E’ autore di “Non esistono ragazzi cattivi” (Edizioni Paoline, 2010), racconto-testimonianza dei primi anni vissuti a fianco dei ragazzi del carcere minorile e delle comunità Kayrós. Appassionato musicista-compositore, scrive e pubblica “Una storia più grande di noi”, un lavoro discografico per la catechesi degli adolescenti che ha notevole diffusione in varie diocesi italiane. Formatosi musicalmente già da giovane presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Milano, nel 2007 viene nominato direttore della Cappella musicale del Duomo di Milano, la più antica istituzione musicale della città, occupazione che ha esercitato fino al 2021. Proprio nella Cattedrale milanese don Claudio confessa e celebra l’Eucarestia.