
2024
non vi guardo perchè rischio di fidarmi
Gli adolescenti che don Claudio incontra da più di vent’anni – nel carcere minorile Beccaria di Milano e nella comunità Kayròs di Vimodrone, dove abita – si muovono all’interno di uno spazio non più innocente: sono giovani smarriti e pieni di paure, in cerca di un adulto capace di ascoltare e che sappia, con credibilità, trasmettere il senso del vivere.
Don Claudio prova qui a riflettere su cosa significhi educare oggi, al tempo delle baby gang. Con l’esperienza maturata, il cappellano è convinto che gli adolescenti non siano poi così cambiati rispetto al passato: nelle loro parole, nella musica e nei gesti violenti c’è ancora quella domanda di autenticità e di senso che appartiene all’uomo di ogni epoca. A cambiare sono stati, piuttosto, gli adulti, sempre più inclini a un giudizio negativo verso i giovani e alla loro criminalizzazione. Secondo don Claudio è arrivato il momento, soprattutto per l’adulto, di assumere uno sguardo nuovo sull’universo giovanile, uno sguardo d’amore, che spesso è tutto ciò di cui questi ragazzi hanno bisogno.

2014
Figli perduti e ritrovati
La parabola dell’uomo che aveva due figli mi appartiene da sempre.
Mai avrei pensato di poter rileggere oggi questa parabola delle parabole, questo vangelo nel vangelo, attraverso gli occhi, i volti e le storie dei ragazzi incontrati nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano e nelle comunità di accoglienza Kayros in cui abito.
Don Claudio Burgio
Bisogna tornare a occuparsi dei giovani più che a preoccuparsi di loro.
Le nuove generazioni hanno bisogno di adulti che facciano gli adulti e che non coltivino, in modo irresponsabile, il mito dell’eterna giovinezza.
Ma i ragazzi difficili, come i ragazzi più normali che vivono all’ombra del campanile, hanno bisogno anche di amici, di fratelli maggiori con cui mettersi in dialogo.
Il giovane della parabola non ha trovato questo fratello; per questo, nonostante l’amore sconfinato del Padre, la parabola ci lascia un po’ di amaro in bocca.
Vorrei rivolgermi non solo agli adulti, ma anche e in particolare, ai giovani e riaffermare che non possiamo dirci veramente cristiani se eludiamo la domanda di Dio: Dov’è Abele, tuo fratello?, se non ci apriamo a quell’atteggiamento che papa Francesco chiama la cultura dell’incontro.
(dalla prefazione del card. Dionigi Tettamanzi).

2010
Non esistono ragazzi cattivi
Li chiamano ragazzi a rischio, bulli, delinquenti, ragazzi di strada, giovani devianti, mostri: per me sono ragazzi e basta.
Ragazzi trasgressivi che, abbandonati a se stessi, sconfinano in comportamenti antisociali e perdono il controllo della loro impulsività fino a diventare pericolosamente violenti; minori che tentano di soffocare dentro il dolore che li accompagna da quando sono nati.
Mentre buona parte dell’opinione pubblica e la coscienza collettiva li bolla con orrore e ribrezzo favorendo l’incremento di un giustizialismo della peggior specie, io continuo a guardarli con quella pietas che non è commiserazione distaccata, ma è un sentimento realmente evangelico di intima consonanza con il dolore dell’altro che diventa tuo.
Li incontro nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano e nelle comunità di accoglienza Kayros, li ascolto nei colloqui personali, per strada.
Con quella tremenda voglia di gridare al mondo il loro esserci, sono diventati i miei compagni di viaggio, coloro che Dio ha messo sulla mia strada perchè io imparassi ad amare e a lasciarmi amare: coloro che, senza saperlo, mi annunciano ogni giorno la gioia del Vangelo e mi aiutano a credere.
Sono angeli sul mio cammino.
Sono cuori violenti spesso per disperazione.
Più vado avanti, più mi convinco di una cosa: non esistono ragazzi cattivi.




